Straccetto e Nero me li ricordo da sempre, ma in effetti c’è stato un momento definito in cui credo di averli scorti in cortile per la prima volta, intorno al 2007, quando sono tornato a Ostia dal mio espatrio lavorativo in Lombardia, a Milano; prima c’era stata soltanto Elisa, una gatta argentea dolcissima e che i più mi dicono sia stata adottata. Io lo speravo tanto. Ad ogni modo abbiamo sempre dato per scontato che Straccetto, il più piccolo dei due, fosse una femmina, l’altro, Nero, più voluminoso, il maschio. In realtà all’inizio non li consideravo troppo, quasi li vedevo come una scocciatura di orme terrose sulla carrozzeria della mia auto pulita. Nel cortile del nostro comprensorio c’era il signor Guglielmo che era un punto di riferimento per loro due, un signore buono con gli occhi annacquati (come canta Baglioni ne “i vecchi”) dalla terza età e di tanta tenerezza. Un po’ non capivo quel loro rapporto fatto di lisciamenti, carezze, appuntamenti fissi, salti sulle ginocchia sulla panchina gialla di una delle entrate, ma tant’è che tutto ciò è andato avanti per almeno due lustri, finché proprio il signor Guglielmo non ci ha salutati per le lande sconosciute del dopo vita. Penso che la perdita del signor Guglielmo, per quei due gattini, abbia sancito un momento di svolta, di assoluta insicurezza nelle loro vite. Non ricordo chiaramente cosa sia accaduto poi, tuttavia Nero aveva continuato ad essere più o meno accudito da alcuni altri condomini e da una signora esterna che – dice tutt’ora – di essere stata lei a portarli nel condominio e a farli sterilizzare. Straccetto invece aveva cominciato a bighellonare all’esterno, tornando – quando gli andava – sempre più malconcia, trasandata, quasi si azzuffasse ad ogni uscita. A poco a poco però, vista la veneranda età di entrambi, i due si sono ritrovati di nuovo nel comprensorio e avevo cominciato a legare proprio con Straccetto. Benedetta gatta malfidente, forastica, sempre sul “chi va la?”, incapace di darmi abbastanza manovra di azione anche per una leggera carezza. Avevo cercato di starle vicino il più possibile, mattina e sera e ogni qual volta era possibile, con il migliore cibo umido, l’acqua fresca, pronto a pulire le sue tane e creandone di nuove. Un giorno, me lo ricordo come fosse adesso, me l’ero ritrovata ad aspettarmi davanti al portone! Evidentemente aveva capito in qualche modo i miei orari. Con quel miao strozzato, stonato, mi aveva appunto aspettato e si era fatta seguire per andare a servirle le pappe, cambiare l’acqua e farsi fare due coccole! Ero parte entusiasta e parte incredulo del risultato che stavamo ottenendo, pure se non c’era nulla da fare: anche quando si faceva coccolare era sempre guardinga e attenta a ogni microcontatto su quel suo corpicino così magro, su quel pelo così arruffato. Nel frattempo, Nero si era affezionato a mio papà e, nonostante mio papà sia quel tipo d’uomo incapace di esternare emozioni, era evidente che ormai scendesse e salisse in casa in orari prestabiliti per stare proprio con Nero, per accudirlo, viziarlo e per parlarci!
Il tempo però ha continuato il proprio corso e Straccetto diventava sempre più magra, sporca, la vedevo che faceva fatica a pulirsi, riposava tanto; nelle unghie, tra le zampette il segno dell’artrosi, ma mi aspettava sempre, sempre. E quando non potevo esserci, qualunque fosse il motivo, la mia compagna si affaccendava per darmi il cambio. Un giorno di febbraio era veramente giù di tono, sapevo che non si sarebbe mai fatta portare in casa, non oltrepassava mai il portone nonostante il nostro rapporto. Avevo provato a stare un po’ lì con lei, ma lei “non c’era” e faceva freddo, tanto, avevo provato a metterle intorno quanti più maglioni. Il mattino seguente sulla rampa che preferiva non era presente e non lo era nemmeno dalla parte del cortile dei miei genitori, così come non era sotto le macchine parcheggiate all’interno o sulla rampa opposta. Ero andato al lavoro con un pensiero enorme, anche la mia compagna era scesa a cercarla, ma nulla di nulla.
Rientrato, consci che l’unico altro posto per cercarla fosse nei garage in disuso da decenni e da ristrutturare del nostro comprensorio, avevo preso il coraggio a due mani e avevo attraversato l’enorme portone alla fine della rampa. Mi ero avventurato nel buio di torcia del telefono e odori forti, calcinacci e Dio sa cos’altro. Avevo intravisto un bagno che non sapevo esistesse e a terra una piccola sagoma nera. Di corsa mi ero avvicinato e l’avevo riconosciuta, era proprio Straccetto. Mi ero abbassato: gli occhi spalancati, le zampe allungate, il corpo rigido e freddo e il mio cuore lacerato al pensiero che fosse morta da sola, senza alcun contatto, senza una carezza, senza che fossi lì ad attendere l’inevitabile con lei, con lei che forse avrebbe voluto avermi con lei.
Chissà, forse stavo provando lo stesso smarrimento che avevano provato loro due quando il signor Guglielmo era venuto a mancare.
Il trauma era stato forte, per qualche ora mi ero chiesto se fosse morta davvero, tanto da sperare in un qualche movimento mentre accarezzavo il suo corpo senza vita. Non rimaneva che seppellirla con accortezza nel nostro cortile, perché non avrei mai potuto saperla altrove.
Mi sono chiesto per giorni se Nero abbia mai capito che sua sorella fosse sepolta proprio nella parte di giardino che lui ha sempre preferito, se avesse provato un senso di abbandono.
Col tempo, inevitabilmente ho finito con l’affezionarmi ulteriormente anche a lui. Nero, tutto diverso da Straccetto, coccolone per eccellenza, incapace di graffiare, capace solo di fare la mossa, col bisogno continuo di contatto fisico, ma con la sua voglia di libertà e di scorrazzare all’interno del cortile soprattutto dietro mio padre nonostante le cucce e le casette acquistate. Qualche giorno fa, quel bel capoccione, è letteralmente scomparso, mio padre lo intravede a malapena al riparo sotto una macchina nel parcheggio interno: lo prende ed è palese che ha subito un trauma. Respira affannato. Non capendo subito cosa fare chiama mia madre che di rimando chiama me. Malauguratamente mi trovo al lavoro e non posso raggiungerli subito, ma la mia compagna prende in mano la situazione e raccoglie Nero con tutta l’attenzione possibile, per poi correre dal nostro veterinario di fiducia. L’ecografia rivela subito una situazione critica, ha parte dell’addome schiacciato, non c’è da sperare nulla di buono, quasi niente e lo stesso veterinario ci invita a correre ad una clinica dell’EUR attrezzata per ogni eventualità. La corsa è folle, Nero respira a fatica, li raggiungo in clinica in men che non si dica, pronto volentieri a indebitarmi per generazioni per salvarlo. Ma nemmeno arrivo che la mia compagna esce fuori piangendo e mi avvisa che quel bel gattone se n’è appena andato.
Il vuoto è totale. Entro all’interno e il dottore ci spiega che era andato in arresto cardiaco e che non c’era stato modo di rianimarlo. Ci guardiamo tutti così, increduli: il cortile che per anni l’aveva protetto dai pericoli dell’esterno l’aveva tradito, per colpa di una di quelle macchine che adorava d’inverno per il motore caldo e d’estate per l’ombra che gli fornivano.
Le domande diventano pugni allo stomaco: possibile che qualcuno l’abbia investito e non si sia accorto di nulla mentre parcheggiava? Possibile che abbia fatto finta di niente?
Queste domande non avranno mai risposta e non offriranno mai alcun conforto, lo so, ma spero qualcuno stia morendo dei dovuti sensi di colpa.
Il dottore ci chiede cosa vogliamo fare con quel corpicino così bello, con Nero, lì, nel trasportino e non c’è dubbio sul fatto che debba rimanere con noi, sepolto accanto a sua sorella. Accanto a Straccetto.
È passato qualche giorno, se ci penso mi salgono ancora le lacrime agli occhi, tutta questa debolezza e sensibilità la devo a assolutamente a loro due e alla mia compagna, mi sento un po’ in colpa, da una parte cosciente del fatto che avrei potuto fare di più da ben prima e dall’altra perché nonostante la mia leggera allergia alla saliva dei gatti forse avrei potuto provare a tenerli in casa, a discapito della nostra lupetta che di contro li odiava.
Nero e Straccetto si meritavano finali migliori, sicuramente, ulteriore amore per quel poco che avevano invaso i nostri spazi, mentre ci sono state persone che si sono lamentate delle ciotole, dello sporco irrisorio di quei due gioielli. Sì, forse ogni tanto nonostante la nostra accortezza un po’ di sporco c’è stato, ma certe anime rimangono macchiate per sempre dalla loro cattiveria e non si possono pulire con nessun detergente.
E, adesso, mi piacerebbe davvero un paradiso dove il signor Guglielmo possa riaverli sulle gambe.
Ciao splendori belli.