il tempo troppo variabile per un’estate in corso, la pelle bianca che indossi e una porta girevole da dove tu hai scelto di uscire.
Quando l’altra notte camminavo sui cornicioni incerti della mia emotività, ho ritrovato l’ultima immagine che ho trattenuto di te, ho ritrovato la tua schiena, la montagna di capelli che porti a spasso e quei passi veloci di gambe belle e corte ad andare dove dovevano andare. Avrei voluto che l’album dei tuoi ricordi non subisse alcun paragone, che rimanesse proprio quello il fotogramma che facesse da copertina del tutto, renderlo addirittura migliore nei miei pensieri, ritoccarlo se necessario e purtroppo non è avvenuto nella realtà: la fantasia enfatizza ogni cosa, specialmente la mia.
Ho fatto già molta strada, sono andato altrove, sempre seguendomi e avrei tanto voluto sentire un sussulto, il cuore battere e dirmi – con sicurezza – che hai una valenza anche ora, non la stessa di allora, ma almeno una lieve differenza rispetto al niente che ho provato. Forse è colpa del tempo: un attimo prima sembra tutto così definito, certo, sicuro e, un attimo dopo è così sfocato, inesatto, fuori asse.
Nessuna responsabilità – né mia e né tua – però è stato bello credere che potesse essere quello che non è stato.
Grazie per averci provato, anche se hai saputo far male.
..il finale è di certo più teatrale,
così di ogni storia, ricordi solo la sua conclusione..
Così come l’ultimo bicchiere, l’ultima visione,
un tramonto solitario, l’inchino e poi il sipario..
(Niccolò Fabi – Costruire)
Le cartine finite, le notti che però non finiscono mai, i messaggi, Cuore e Vita, un bracciolo sporco di cenere e una porta girevole dalla quale tu sei entrata. E’ andata così, un giorno qualunque metto a fuoco la fitta ragnatela delle mie percezioni e tu sei lì, con quell’espressione che a volte mi suscita carezze ed altre un profondo odio. Mani in faccia e la solita domanda che mi pongo: “come diavolo hai fatto?” Un momento prima sei un’antipatica sconosciuta che snobbo e un momento dopo sei una costante nelle mie giornate, come la piega che hai tra il collo e le spalle e quel modo di muovere le mani mentre provi a spiegarmi parole e concetti, nell’esaltazione dei tuoi gesti e di quei toni che sono degni del migliore dei cartoni animati. Quando oggi ti ho scritto che mi impiastri i pensieri, sono stato felice di aver trovato il giusto termine che ti rappresenta, pure se è vero che per lunghi tratti – per i motivi che sai – ti avrei staccato la testa e morso un’altra volta. Buffa, bella, proprio un impiastro. Tuttavia mi sono controllato abbastanza, d’altronde sono più forte, migliore di quello che sono stato tempo addietro e non per chissà quale assurda ragione, semplicemente perché ho saputo accettare di soffrire e quello che ho sofferto mi ha fatto crescere, come è ovvio che sia. Discuteremo ancora – inevitabile – ci avvicineremo, allontaneremo, ma non per via di quelle tacche mentali che palesi ormai quotidianamente, ma per quello che, tu sai, non è stato ancora detto.
Ti devo un grazie, ad ogni modo, ieri sera sarebbe andata nella stessa maniera, ma non con la stessa convinzione.
..si vivesse solo di inizi, di eccitazioni da prima volta
quando tutto ti sorprende e nulla ti appartiene ancora:
penseresti all’odore di un libro nuovo, a quello di vernice fresca,
a un regalo da scartare, al giorno prima della festa..
(Niccolò Fabi – Costruire)
Le porte girevoli -come quelle che si vedono negli hotel- che purtroppo ora sono automatizzate e non ti danno più la possibilità di sbagliare, sono paragonabili ai flussi acqua che si danno il cambio nel loro fluire. Come i vortici che si creano nei mari, per quei vuoti interni alla profondità. Gli stessi vuoti che si creano nelle nostre per la repentina mancanza di qualcosa o l’inaspettato crescere di altro.
Se fossi io, in quelle porte non automatizzate, ci rimarrei incastrato e non ne uscirei ma non per mia inettitudine nel decidere cosa fare, ma perché sono un imbranato ^^
Fortunatamente per noi, loro sanno sempre come entravici e come uscirne illese. Tutti passano per la hole, inevitabilmente, e tutti suonano quel campanellino che tanto trovano adorabile, quanto odioso per chi si trova dall’altra parte del bancone e che molte volte lo ha sentito suonare e sa cosa significa.
E’ quel suono che ci avverte che un’altra è arrivata..perché è sempre la nuova entrata che ci disturba, mentre l’uscente preferisce il muto assenso dei patti.
Il passato fa rumore, anche molto rumore, ma è sempre il presente a spuntarla – chiaro che parliamo di presente di persone che la vita la vivono e non l’osservano come da un davanzale di una finestra – a farsi strada e prendere piede e dire “io ci sono, io ci sono adesso”. E l’adesso ha più spessore rispetto a qualsivoglia ricordo. Le varie ed eventuali non fanno testo in questo contesto. Avrei preferito non intaccare quel ricordo con un incontro che, invece di accrescerlo, ha finito per sminuirlo.