con i muri che sanno di piscio stantio e puttane stanche lasciate a negoziare sulla strada, tassisti con gli occhi rossi e annoiati e clochard negli angoli a sognare un letto.
Una pagina nera.
Il vestito scuro che indossi, io con i miei sorrisi strozzati e il tentativo di lenire la mimica dei gesti tuoi che ho imparato a conoscere a memoria, le tue braccia incrociate, le tue unghie laccate, le parole che distaccano, una non naturalezza di intenti: è tutto sfasato, asincrono.
Un’idiosincrasia, un’avversione a qualcosa che non so accettare.
Quanta differenza passa tra un dovrei ed un vorrei.
Tanta.
Troppa.
Frasi che tendono alla chiusura un qualcosa che avrebbe il diritto di vivere, una cena che non celebra niente, che sa di commiato, con una lettera che non avrei mai creduto di scrivere.
Occhi lucidi che si specchiano in occhi lucidi.
Un abbraccio che sancisce un patto che nessuno vorrebbe siglare.
Il conto che non arriva mai.
La tua schiena quando scendi dalla macchina.
Dammi tempo o uccidi il tempo.
Chiedo.
Dammi quei momenti iniziali in cui noi ci ignoravamo.
Chiedo.
Dammi le parole che non ho avuto quando mi hai regalato i libri.
Chiedo.
Dammi di nuovo la piega che hai tra il collo e la spalla.
Chiedo.
Dammi il modo di non doverti dimenticare.
Chiedo.
Il cuore come una festa a sorpresa, con la torta che è fatta degli ingredienti che sono esattamente quelli che vorresti, con coriandoli accesi e luci soffuse, con gli amici giusti, con quell’espressione ebete di chi non se l’aspetta, con il regalo che è tangibile nella festa stessa.
Una pagina bianca.
Una corsa in macchina per le vie spogliate, il telefono nel palmo per risponderti, gli autovelox che mi impongono di rallentare.
La voglia di stringerti, la coerenza e l’incoerenza, quelle parole che vengono da dentro, le mani che si cercano, gli abbracci che riempiono, il tuo odore che è così familiare, il mio non cercare spiegazioni, semplicemente vivere, le emozioni che legano.
Adesso.
Non ieri.
Non domani.
Adesso.
Una tua frase che faccio finta di non capire ed ignorare, pure se fondamentale.
Dammi più buio.
Flash.
Dammi parole e silenzi.
Flash.
Dammi i tuoi sorrisi.
Flash.
Dammi le tue dita intrecciate con le mie.
Flash.
Il rientro a casa, il silenzio contiguo, un “ancora” incollato nei pensieri.
E dò Cuore mentre respiro Vita.
Spiega e non spiega; vuoi e non vuoi; datti una ragione e poi falla crollare nell’incoerenza dei fatti.
Questo è il bello del vivere le cose con paure. Questa è la fiaba che mai nessun genitore ci ha mai voluto raccontare, prima di coricarci a letto. Questa è la realtà dei fatti che io guardo in silenzio, col sorriso in faccia e lo sguardo fisso su di te.
Non c’è bisogna che io dica niente, perché alcuni passi sono solo dei deja vù, sono quei piccoli segni che avvertono l’avvento e mai lo comunicano. Sono l’intramezzo tra il girare la chiave nel blocchetto d’accensione e quei secondi che dividono la messa in moto dall’accensione.
Era bello, quando in adolescenza, mi innamoravo e non me ne importava nulla delle conseguenze, del cosa sarebbe stato poi, vivevo a prescindere ogni condizione senza nessuna particolare riflessione.
Questo essermi incentrato su me, nel tempo, ha frenato quell’immediatezza emotiva che avevo, tanto da trasformarmi in una sorta di Diesel, dove i sentimenti hanno il via libera soltanto quando sono certo che “lasciarsi andare” sia la cosa giusta.
Eppure – fatalmente – quel batticuore piu’ importante che ho avvertito in queste ultime due settimane, e’ stato impagabile e per via del soggetto che me l’ha scaturito e perche’ e’ l’apice del sentirsi vivi.