Era l’84, tu avevi la mia età di adesso,

io avevo appena sei anni, tu eri dietro i baffi lunghi ed una fisionomia più magra, io dietro il viso di un bambino con la pelle liscia e il naso piccolo e perfetto, che se non ricordassi quando me lo sono rotto, giurerei che me lo abbiano sostituito durante l’adolescenza. Una stampa ad aghi, che fa impallidire le odierne tecnologie, su una carta a filamenti di bambù. Mi stringi da dietro a strappare al tempo un momento soltanto nostro, che resterà eterno anche dopo di noi. Me lo ricordo, nonostante sia trascorso più di un quarto di secolo: camminavamo via delle Baleniere, faceva un freddo cane, mi parlavi tenendomi per mano, come in tutti quei pomeriggi insieme, eri obbligato a fare sempre  il turno di mattina, mentre mamma lo era nel fare i pomeriggi, così non mi ritrovavo mai da solo. Mi avevi guardato e mi avevi detto: “vuoi fare un calendario con papà?” C’era un sacco di gente che voleva farlo, c’erano ancora le vecchie e oneste Lire e sì, non sapevo come avremmo fatto il calendario, ma ero entusiasta. Avevo biascicato un assenso e quando è toccato a noi, mi hai preso in braccio e ora siamo ancora lì e Dio solo sa quanto mi sentivo bene, quando tu eri ogni sicurezza ed ogni condizione di serenità. Mi piaceva tanto quando tornavo dalla scuola e mi preparavi da mangiare, non sei mai stato un grande cuoco, ma l’indispensabile non me l’hai fatto mai mancare. Madonna Pa’, mi viene da piangere a pensarci adesso. Te lo ricordi quando ho messo la tazza coi biscotti e latte sopra al fazzoletto che mi legavi al collo per non farmi sporcare e poi mi sono strattonato indietro e ho fatto cadere tutto per terra? Un casino, ma non ti sei arrabbiato, mi hai guardato e stropicciato i capelli e ti sei messo a ridere. Il mio supereroe. Quando rientravi con la divisa, quando la carriera era ancora agli inizi e c’era stato quell’attentato, mamma che piangeva, poi dopo hai chiamato e tu l’avevi scampata, che paura. Quando mi facevi la riga da una parte con il phon e la spazzola e ti dicevo che bruciava e quando stavo affogando e mi hai tirato fuori dall’acqua e ho visto per la prima volta la morte in faccia. Quando mi hai parlato del sesso e non sapevi come dirmelo e io che sapevo già molto sull’argomento, quando hai provato a spiegarmi l’amore e quello non l’ho imparato mai. Quando mi spiegavi che la vita non sarebbe stata facile, ma che ci saresti sempre stato e che avrei trovato la mia strada anche io. E ci sei ancora Pa’ e di anni ne ho 32 e tu oggi ne fai 58, solo che io non sono più quel bambino sprovveduto e delicato, col naso perfetto e la riga da una parte. Sono un uomo con un vissuto importante alle spalle, un uomo che cammina la propria strada con la sicurezza guadagnata sulla pelle, col dolore di un tempo che ha inciso, ma mai piegato e mai spezzato. Con il sorriso in bella mostra in direzione di domani, perché so che c’è ancora tanto da fare e da dire, pure se ci saranno altre difficoltà, pure se già ce ne sono. Avrei voluto essere uomo molto prima, soltanto perché adesso è facile apprezzare tutto di te, mi dispiace per quando non sono stato in grado di farlo, con quelle grida di non comprensioni, di porte sbattute, di “lasciami stare” urlate a gran voce, del dialogo che si spegneva un giorno dopo l’altro. È passata anche quella fase, Pa’ e ti faccio i più sinceri auguri, quelli che solo un figlio può, quelli che nascono da dentro e che l’altro giorno, riguardando il calendario, sarebbe voluto tornare a vivere – almeno per un momento – quel presente.

..Vieni padre mio, usciamo a fare un giro e guida tu
e guarda avanti e non parliamo più:
albero padre con un ramo solo..
(Claudio Baglioni – Tamburi lontani)

6 commenti su “Era l’84, tu avevi la mia età di adesso,”

  1. …L’altro giorno il mio vicino poliziotto attraversava il vialetto con il braccio il piccolo, il primo, di sei mesi. E mentre questi mi indirizzava un sorriso tutto ciucciotto, ho ricordato i suoi primi mesi, piangeva sempre, di continuo, ogni volta che lo incontravo, con il padre o con la madre, lui piangeva….saranno state e coliche mi ha detto una collega quando ho riferito il ricordo, ma quello che ho pensato è stato che per sopportare quel pianto sconosciuto, apparentemente immotivato, continuo, ci vuole un coraggio ed una motivazione che solo l’amore può dare…passare una notte insonne, vestire una divisa e andare, ritornare e ritrovare quel pianto…..così come se nulla fosse…o come se tutto dovesse andare così e non lo si fosse immaginato diversamente, no!, come se tutto fosse esattamente come lo si fosse voluto…e domani il bambino che a differenza del padre è biondo e chiaro, andrà per la sua strada, e per individuarla dovrà ferire, ignorare, offendere quel padre, quello che oggi lo porta in braccio perchè lui non sa camminare ma anche perchè domani lui, di fatto, possa camminare…Ed io lo guardo questo padre, raggiante, e mi chiedo, in quale, preciso momento, lo ha capito, che avrebbe retto tutto questo, che ne sarebbe valsa la pena, un giorno?Che tutto questo avrebbe avuto un senso?…
    ….Alberto, vai avanti, tu la tua divisa e il tuo bambino, perchè un giorno, io quel bambino voglio vedelo tornare uomo, perchè più di ogni altra cosa un padre è il luogo fisico a cui tornare e non fare l’errore del mio di padre, no! un figlio non sa andare per il mondo senza un padre, sebbene la sua certezza sia questa, un figlio va sicuro per il mondo solo se ha un posto certo in cui ritornare…

  2. Ciao Antonella,
    grazie molte per questo tuo racconto, posso solo supporre la tenerezza di quel contesto, di quel padre cosi’ giovane e di quel bambino che un giorno sara’ un uomo, un uomo che sara’ tale proprio grazie all’impegno di un genitore attento, puntuale, capace di dare pur ricevendo indietro sempre poco. Penso sia questo l’amore incondizionato, l’amore per sempre, quello che solo legami cosi’ forti e saldi possono offrire. Ci vuole coraggio a fare un figlio, specialmente di questi tempi, ci vuole coraggio nel sapere che anche quel figlio per un periodo o per sempre, voltera’ le spalle, offendera’, umiliera’.
    Un in bocca al lupo ad Alberto per il suo impegno nel mestiere piu’ difficile del mondo e grazie a te Anto, per avermelo raccontato 🙂

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